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Toccati le caviglie! Utthanasana e paschimutthanasana 🙇🏼‍♀️

La mia pratica e i miei difetti nei piegamenti in avanti
Sicuramente è successo anche a voi: la prova classica della flessibilità di una persona consisterebbe nel sapersi toccare le caviglie.
Ce lo sentiamo dire sin da bambini. A me l'ultima volta l'ha chiesto il medico competente all'assunzione nel mio posto di lavoro, mentre mi visitava la schiena per l'idoneità alla mansione…
Per contro e in parallelo, un altro modo di dire altrettanto classico per dichiarare di non essere flessibili è proprio questo: "Io non arrivo nemmeno alle ginocchia, figurati se mi tocco le caviglie!"

Anche se ho sempre fatto sport e non ho mai avuto l'imbarazzo (quale poi?) di non arrivare alle caviglie, non ho mai davvero allenato la flessibilità e infatti non è mai stata il mio forte e ancora oggi non lo è affatto: ho un muscolo piuttosto denso e compatto, come le mie linee di natura, decisamente brevi.
Di sicuro migliorare la flessibilità e la lunghezza di muscoli, tendini, legamenti e sistema fasciale porta una maggiore mobilità articolare e anche una performance fisica e cinetica migliore in generale, per cui è sicuramente desiderabile aumentare la propria flessibilità, ma perché siamo così attratti dall'essere flessibili?

Forse viene dato un valore estetico e un pregiudizio alla maggiore flessibilità?

Eppure esistono tante altre caratteristiche fisiche da desiderare e che vengono esercitate con la pratica dello yoga: forza, resistenza, equilibrio, concentrazione, precisione nei movimenti, coordinazione, etc… 

Come tutte le componenti soggettive, anche la flessibilità potrebbe essere una qualità che non riusciremo a sviluppare quanto desideriamo (o quanto siamo indotti a desiderare dalle immagini e dai modelli da cui siamo bombardati in rete e sui social), ma di sicuro non dovremmo farcene nessun cruccio, perché abbiamo certamente altre caratteristiche altrettanto belle e uniche da scoprire e coltivare. Questo non vuol dire fare solo quello che ci riesce bene, anzi, vuol dire impegnarci e lavorare sui nostri limiti, ma senza la frustrazione che deriva da obiettivi preconfezionati da altri e lontano da noi, pensando piuttosto al nostro benessere generale come priorità: difficile, ma possibile e gratificante!

Senza fissarci più di tanto sulla nostra capacità di allungare i muscoli, consapevoli che ci sono tecniche specifiche e che la pratica regolare come sempre è l'unico modo per migliorare, non nascondo che anche io, ovviamente, ci sto lavorando da tempo e praticando ho capito alcune piccole cose che qui vorrei condividere, anche per sdrammatizzare e riderci un po', perché essere meno flessibili non vuol dire certo essere meno adatti!



Le mie tre perle di oggi:
  • Il primo segreto di Pulcinella dei piegamenti in avanti è semplice: fare spazio nell'addome durante l'espirazione e mantenere la connessione tra cosce e torace. Non sono le mani a dover toccare terra, creando improbabili gobbe alle spalle e all'altezza delle scapole, ma è il petto che deve cercare il contatto con le gambe: più spazio si recupera in questa zona e più la testa e le braccia potranno scendere  in basso, mantenendo così anche l'allungamento della parte bassa della schiena (che è lo scopo principale di queste pose, oltre all'allungamento profondo della catena posteriore delle gambe e l'effetto di relax generale dovuto alla posizione di chiusura).
  • Quando si pratica paschimutthanasana (la pinza) ci viene detto che dobbiamo tenere il petto e le spalle aperte: giusto, per carità! Spesso però l'attenzione sulle spalle ci irrigidisce e  perdiamo l'effetto calmante che la posizione dovrebbe avere. Il mio consiglio è di radicarsi bene a terra con gli ischi e poi di concentrarsi di nuovo sulla zona dell'addome: nell'espirazione facciamo partire il movimento in avanti dalla bassa schiena, come se il bacino si volesse appoggiare alle gambe, e poggiamo le mani dove arriviamo, nel nostro punto massimo di allungamento in avanti. Credo che sia meglio avere le spalle leggermente curve, ma rilassate, piuttosto che soffrire nella posa per schiacciarci in basso. Del resto in inglese si parla di ragdoll pose, il pupazzo, non il burattino, e praticando di sicuro la nostra posizione migliorerà.

  • Il terzo e ultimo consiglio, l'unico veramente utile, è uno solo: continuare a praticare e non sentirsi impediti o stupidi: lo facciamo per essere flessibili fuori dal tappetino, non certo per la performance o la bellezza della posizione. 
Ecco perché a chi mi dice che non può iniziare a praticare yoga perché non è flessibile, oppure al contrario vorrebbe iniziare a fare yoga per mantenere flessibilità, mi piace rispondere che la flessibilità non è un prerequisito dello yoga, semmai potrebbe essere un risultato della pratica, sempre se rimaniamo a un livello "grossolano" di intendere lo yoga… Praticando ci renderemo conto che è bello avere un corpo forte e flessibile (risultato già degno e nobile, sia chiaro!), ma che tutto sommato ci interessano gli altri risultati più sottili della pratica.

Scoprire quali siano è l'oggetto della ricerca personale e del percorso di ognuno! 😃



PS. Un ultimo promemoria: godiamo di quello che riusciamo a fare oggi, domani tutto può cambiare e si vedrà!

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